Associazione a tutela dei risparmiatori


Tratto da ADUC - Editoriale di Alessandro Pedone
13 novembre 2013 18:20
 
Lunedì scorso, in prima pagina de “La Stampa”, Mario Deaglio ha scritto un bel fondo dal titolo “Quanto costa l'analfabetismo finanziario”.
Il problema si inserisce in quello più vasto dell'analfabetismo di ritorno che colpisce molto gravemente il nostro Paese. Sono circa 6 milioni le persone, età lavorativa, che non sanno leggere o non hanno alcun titolo di studio (neppure quello elementare!). Un interessante articolo del famoso linguista e politico Tullio De Mauro pubblicato sull' “Internazionale” riporta un quadro drammatico derivante da indagine internazionale sul livello di istruzione nei Paesi sviluppati (recentemente aggiorna e che ha sostanzialmente confermato gli stessi dati). Secondo queste ricerche 5 italiani su 100, fra i 14 ed i 65 anni, non sanno distinguere una lettera da un'altra. Il dato, se possibile, ancora più drammatico è che ben 33 italiani su 100 non riescono a leggere e comprendere un testo appena articolato che riguardi fatti di interesse collettivo. Soltanto il 20% degli italiani, secondo questa indagine, “possiede gli strumenti minimi indispensabili di lettura, scrittura e calcolo necessari per orientarsi in una società contemporanea”
Se poi parliamo di finanza poco più che elementare (1) allora possiamo dire che la quasi totalità degli italiani brancola totalmente nel buio comprese persone con un livello culturale elevato o molto elevato.

La soluzione a questo problema consiste nell'incentivare l'educazione finanziaria? Ben venga, ma non può bastare! 
L'educazione finanziaria da sola non può risolvere il problema dei costi connessi all'analfabetismo finanziario e questo per almeno due ragioni. 
La prima e più importante ragione sta nei numeri sopra citati. 
Almeno un terzo degli italiani, prima di imparare i rudimenti di finanza dovrebbero imparare a leggere, comprendere e far di conto. Le persone che potrebbero avere accesso ad un corso base di alfabetizzazione finanziaria avendo gli strumenti culturali minimi per poterne trarre profitto sono probabilmente quel 20% degli italiani di cui all'indagine sopra citata. 
Quand'anche s'incentivassero in ogni modo corsi di finanza di base, il grosso della popolazione non potrebbe accedervi. Per coloro che potrebbero, in teoria, accedervi, c'è il secondo grande ostacolo
Detto in maniera dura e cruda: alla grande maggioranza delle persone la finanza semplicemente non interessa. Parafrasando una frase famosa in economia: puoi portare il cavallo all'abbeveratoio, ma non puoi costringerlo a bere. 
Una volta organizzati i corsi di alfabetizzazione finanziaria bisogna riempire le aule e per questo bisognerebbe, insieme ai corsi, fare una forte campagna culturale di sensibilizzazione al problema. In ogni caso, anche quando avremo fatto questo ed avremo convinto quelli che avrebbero le competenze culturali per partecipare, rimane il problema che il grosso della popolazione è talmente ignorante che non potrebbe comunque accedervi.

Il problema dell'ignoranza degli italiani è uno dei più profondi drammi del nostro Paese e sembra che praticamente nessuno si ponga seriamente il problema. Non compare neppure minimamente nell'agenda politica. Ovviamente è un problema che si può pensare di affrontare e risolvere nell'arco di qualche decennio, non certamente nell'arco di pochi anni. Nel frattempo, quindi, è necessario applicare delle politiche di tutela degli investitori che non partano dal presupposto che viviamo in un mondo ideale. In un mondo normale se ad un cliente di una banca fornisci, per iscritto, tutte le informazioni corrette un determinato prodotto quest'ultimo sarà in grado di “fare una scelta d'investimento consapevole”. Nel mondo reale, questo non è per niente vero! Nella quasi totalità dei casi, fornire le informazioni corrette non è sufficiente, ed in un buon numero di casi è totalmente inutile. 
Ciò di cui abbiamo tremendamente bisogno, nel campo della tutela degli investitori, è di politiche molto proattive che non lavorino dal lato della domanda di prodotti finanziari (e non, come abbiamo fatto fin qui, dal lato dell'offerta imponendo agli intermediari una serie di obblighi che questi assolvono poi solo formalmente facendo firmare ai clienti un mare di carte inutili). In altre parole abbiamo bisogno di norme che incentivino scelte e comportamenti finanziari non dannosi e possibilmente utili.

Il problema vero, però, se ce la vogliamo dire tutta fino in fondo è che l'analfabetismo finanziario fa tremendamente comodo alle banche le quali ingrassano grazie all'ignoranza dei loro clienti. Almeno il 90/95% dei prodotti finanziari, che la così detta industria del risparmio gestito sforna in continuazione, non avrebbero senso di esistere se i clienti sapessero valutare correttamente il rapporto rischio/rendimento così come viene ridefinito dal profilo dei costi a carico di questi prodotti (2) e sapessero riconoscere questi costi. 

Le banche quindi potranno parlare di educazione finanziaria, potranno perfino promuovere iniziative volte a far conoscere i rudimenti assolutamente minimi di finanza (come l'interesse composto, l'inflazione, ed altre cose assolutamente basilari) ma è chiaro che non potranno mai accettare che i clienti conoscano le cose veramente necessarie per fare scelte d'investimento consapevoli. Purtroppo, per almeno molti decenni, non correranno mai questo rischio. 


(1) Per “finanza poco più che elementare” intendo qualche concetto superiore a cosa sia il tasso d'interesse composto, cosa sia l'inflazione, ecc, ma comunque nozioni assolutamente basilari tipo: quali sono le differenze fra un investimento azionario ed uno obbligazionario? che cos'è un indice finanziario? quali sono i costi a caricato di un fondo comune d'investimento? 
(2) In finanza ad ogni rendimento atteso corrisponde un livello di rischio. Il rapporto finanziario rischio/rendimento è relativo al rendimento al lordo dei costi. Quello che però interessa al risparmiatore è il rapporto al netto dei costi. Così, più un prodotto finanziario è costoso, il rapporto rischio/rendimento “netto” sarà peggiore. In finanza, diversamente dalla maggioranza degli altri campi, un maggior costo del prodotto finanziario non corrisponde mai ad una migliore qualità. Ad un maggior costo deve corrispondere o un minor rendimento atteso rispetto ad un altro prodotto con minor costo e stesso grado di rischio, oppure un maggior grado di rischio rispetto ad un altro prodotto con minor costo e pari grado di rendimento atteso. 

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