Associazione a tutela dei risparmiatori


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Siamo un'associazione italiana, con sede anche a Bruxelles, specializzata nella tutela degli interessi dei piccoli risparmiatori e degli azionisti di minoranza delle società quotate in tutte le borse internazionali. 
Assorisparmio conta su di una squadra di avvocati specialisti ed impegnati nella tutela dei diritti delle minoranze.
Potete fidarvi di noi per gestire le vostre azioni legali e controversie in campo amministrativo e finanziario, o anche solo per chiederci un parere gratuito.

L'iscrizione ad assorisparmio è gratuita. Gli associati partecipano solo alle spese in misura minima, e solo per partecipare ad azioni legali collettive cui desiderino aderire.

Scoprite di più sui nostri servizi qui sul nostro sito e non esitate a contattarci per richiedere maggiori dettagli. Saremo lieti di aiutarvi a soddisfare le vostre esigenze in campo finanziario.

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Milano, 30 aprile 2014 - Tratto dal sito ADUC a cura del dr. Pedone
KID: Key Information Document
Il 15 Aprile scorso, con il fattivo intervento della nostra associazione "BETTER FINANCE FOR ALL",  è stata approvata dal Parlamento Europeo la proposta della Commissione Europea (che risaliva al 2012) in materia di trasparenza precontrattuale per i risparmiatori che investono in prodotti d'investimento al dettaglio preassemblati (i così detti PRIPs: Packaged Retail Investment Products). 
La norma prevede che ogni strumento finanziario preassemblato (cioè fondi comuni d'investimento, investimenti assicurativi, prodotti strutturati, ecc.) venduto ad investitori non professionali sia accompagnato da un documento informativo particolarmente semplice e breve (massimo 3 pagine) che dovrà contenere tutte le informazioni rilevanti (il documento viene chiamato KID, che sta per Key Information Document) per fare una scelta d'investimento consapevole. 
Lo schema del documento dovrà essere tale da rendere facilmente confrontabile per ogni investitori le varie proposte che gli vengono sottoposte sulle questioni centrali come: tipo d'investimento, costi, rischi, ecc. 
Adesso la parola passa di nuovo Consiglio Europeo per continuare la trafila burocratica che dovrebbe portare alla concreata realizzazione di questi documenti informativi per la fine del 2015.

Non vi è alcun dubbio che avere un documento informativo molto sintetico per tutti i prodotti finanziari venduti direttamente agli investitori sia una cosa positiva, ma è opinione diffusa che questo è solo un primo passo per tutelare concretamente tutti gli investitori, specialmente quelli più deboli. Gli investitori un po' più informati troveranno giovamento da questa iniziativa (quando verrà applicata) ma una fetta molto consistente di risparmiatori continuerà a non leggere neppure il KID
Purtroppo una fetta molto significativa di clienti delle banche è (o si ritiene) completamente incapace di leggere anche informazioni molto semplici e brevi col risultato che si finisce ad essere più o meno “raggirati” (parliamo di almeno il 30% dei risparmiatori italiani). La soluzione più semplice a questo genere di problemi è quella della 
scelta standard (vedasi  approfondimento qui sotto).
Ovvero, va benissimo fornire le informazioni in un formato sintetico e facilmente comprensibile per investitori non professionali, ma insieme a questa proposta dovrebbe essere data l'alternativa standard. Un qualsiasi cliente dovrebbe poter avere un'opzione “di base”, un po' come avviene per il mercato dell'energia elettrica con il “contratto di maggior tutela”. 
Questa sarebbe la vera rivoluzione nel campo della tutela degli investitori più deboli. 
Purtroppo questo difficilmente avverrà a breve, nel frattempo, ci accontenteremmo di avere nel KID una sezione di confronto fra lo strumento proposto ed un semplice titolo di stato comparabile. 
La scelta standard. Una riforma radicale per una vera tutela del risparmio. 
Il principio base che ispira tutta la normativa europea in materia di tutela del risparmio è il così detto principio della “disclosure”. Si ritiene, cioè, che si tuteli l'investitore costringendo l'intermediario a fornire “tutte le informazioni necessarie per fare una scelta d'investimento consapevole”. Questo può apparire un principio intelligente, perfino incontestabile, ma in realtà è totalmente sbagliato poiché la grande maggioranza degli investitori non si ritiene capace di comprendere quelle informazioni. La materia degli investimenti finanziari è di per sé molto complessa e gli intermediari fanno di tutto per renderla sempre più complicata. Il principio della “disclosure” si è trasformato, nella sostanza, in una serie di formalismi applicati solo sulla carta attraverso mille “firmi qui... qui e.... qui!” con i quali i clienti dichiarano di aver ricevuto, e talvolta anche compreso, delle informazioni che in realtà non hanno mai letto. Questo fa sì che le banche possano continuare a vendere prodotti che non hanno alcuna ragione di esistere perché sanno che con la loro forza vendita potrà approfittare dell'ignoranza dei loro clienti sottraendogli, così, dei soldi per prodotti finanziari che mai avrebbero sottoscritto se solo avessero una cultura finanziaria adeguata.
La strada, allora, secondo qualcuno, è quella di elevare la cultura finanziaria degli investitori. Anche questa, come il principio della “disclosure” è una pia illusione. Ben venga l'educazione finanziaria (così come ben vengano tutte le informazioni possibili) ma non potrà mai essere quella la strada per una vera tutela degli investitori perché rimane sempre una fetta importantissima di persone che non ha gli strumenti intellettivi minimi per partecipare, con profitto, a nessun corso, per quanto base, di educazione finanziaria. Noi viviamo in una nazione, volente o nolente, nella quale circa un terzo della popolazione adulta non è in grado di leggere un articolo di giornale che tratta di argomenti comuni e comprenderlo. Questa è la triste verità. Molti altri, che magari avrebbero gli strumenti culturali per elevare la loro cultura finanziaria semplicemente non vogliono farlo. Coloro che sarebbero disponibili a partecipare a dei corsi per apprendere come non essere gabbati dagli intermediari finanziari sono l'eccezione, non la regola.
Si potrebbe pensare che se queste persone non vogliono elevare la loro cultura finanziaria, allora è bene che ne paghino le conseguenze. Questa è una visione comprensibile ma miope perché il danno che questi investitori inconsapevoli fanno a loro stessi è un danno che fanno, nel complesso, all'intera società. Risparmi che vengono distrutti a favore degli utili del sistema finanziario sono un danno economico per l'intera società. E' un dovere costituzionale tutelare queste persone. Come farlo concretamente e non a parole?

La soluzione consiste nel ribaltare completamente l'impianto filosofico della normativa attuale.
In primo luogo gli investitori dovrebbero essere classificati in tre categorie: 1) investitori con esperienza comprovata dal superamento di uno specifico esame; 2) investitori assistiti da professionisti o strutture (come i club d'investimento presenti in alcune nazioni europee) che si assumo la responsabilità delle scelte dell'investitore; 3) investitori senza esperienza.
Le prime due categorie di investitori sono liberi di investire su tutto l'universo investibile e gli intermediari finanziari devono fornire loro tutte le informazioni previste dalla normativa attuale.
Per il terzo gruppo di investitori, che rappresenterà la grandissima maggioranza, ogni operazione dovrebbe essere ricondotta ad un obiettivo finanziario secondo uno schema unico stabilito dall'autorità di vigilanza (in Italia dalla Consob). La mia esperienza professionale di anni a contatto con gli investitori individuali mi dice che le esigenze per le quali si investono dei soldi, alla fine, si possono ridurre ad una casistica piuttosto ristretta che si conta sulle dita di una mano, al massimo due se vogliamo essere pignoli.
Per ciascun obiettivo d'investimento l'autorità di vigilanza deve identificare uno strumento standard (2) adeguato all'obiettivo dichiarato dall'investitore. Lo strumento standard non è, ovviamente, il “migliore” strumento possibile. In primo luogo l'aleatorietà è connaturata al mondo della finanza e la scelta “migliore” ex-ante è una cosa molto complicata da determinare. Questa scelta standard, però, è l'opzione selezionata dall'autorità di vigilanza che evita, per dirla in soldoni, le “fregature” dei prodotti che esistono solo perché gli investitori sono ignoranti.
Se l'investitore si vuole avventurare nel mondo della finanza alla ricerca di un portafoglio finanziario migliore delle opzioni standard, deve dimostrare di avere le competenze, superando ad esempio uno specifico esame, oppure deve essere assistito da qualcuno competente che si assume le responsabilità delle scelte dell'investitore.
Sono solito illustrare questa proposta con l'esempio dei mezzi di trasporto. Tutti noi sappiamo che guidare un'automobile è qualcosa di potenzialmente pericoloso e quindi lo Stato impone di prendere una patente superando degli appositi esami. Se un cittadino non vuole prendere la patente, ma vuole spostarsi con dei mezzi, ha due opzioni: o si sposta con un'auto guidata da altri che dispongo della patente, come un taxi, oppure prende i mezzi pubblici. I taxi, nella nostra proposta, sono i consulenti finanziari indipendenti o i club d'investimento che esistono in altre nazioni europee (come la Francia ad esempio, che prevede anche una agevolazione fiscale per chi fa investimenti di importi modesti assistiti dai club d'investimento). I mezzi pubblici, invece, sono l'opzione standard predisposta dall'autorità di vigilanza.
Nessuno si sognerebbe di sostituire la patente con l'obbligo da parte dei concessionari delle automobili di fornire “tutte le informazioni necessarie per una guida consapevole”. E' chiaro che sarebbe una follia. Questa follia è ciò che facciamo nel campo degli investimenti finanziari. Per capire appieno perché questo paragone è calzante dobbiamo comprendere che così come un incidente stradale implica un danno per il singolo che commette l'errore, ma anche una danno per altri e per l'intera società, così negli investimenti finanziari, la somma dei danni individuali si traduce in un danno complessivo per l'intera società.
Un cambiamento radicale di questo tipo implicherebbe per gli intermediari finanziari una significativa diminuzione dei profitti. E' ovvio che sarebbe illusorio pensare che una qualsiasi maggioranza politica possa approvare qualcosa del genere da un giorno all'altro. Si potrebbe pensare, quindi, a qualcosa di più graduale. Invece di prevedere l'impossibilità per la banca di proporre gli strumenti finanziari non standard ad investitori senza comprovata esperienza e non assistiti, si potrebbe, inizialmente, prevedere l'obbligo di indicare insieme alla proposta della banca anche lo strumento standard selezionato dall'autorità di vigilanza. Questo consentirebbe alle banche, piano piano, di modificare il proprio modello di business.

(1) Alcuni anni fa, un economista piuttosto famoso, Richard Thaler ha scritto un bel libro insieme a Cass Sunstein dal titolo “Nudge. La spinta gentile. La nuova strategia per migliorare le nostre decisioni su denaro, salute, felicità”. La tesi di base della finanza comportamentale è che gli investitori, nel compiere le scelte d'investimento, sono soggetti ad una serie di errori mentali ineliminabili (ancoraggio mentale, conti mentali, eccesso di fiducia, ecc. ecc.). Thaler e Sunstein sostengono che il modo miglior per agevolare le scelte economiche dei cittadini è di promuovere "trucchetti" o "pungoli" che sfruttino gli "errori mentali" degli esseri umani a loro vantaggio e non a loro svantaggio. Nel campo delle scelte d'investimento uno dei "trucchetti" più utili potrebbe essere la "scelta standard". Le autorità di vigilanza (Consob, Banca d'Italia, ISVAP, Covip) dovrebbero formulare delle scelte standard per le più comuni esigenze di investimento e protezione dei risparmi. 
L'investitore dovrebbe essere informato dall'intermediario finanziario, prima di tutto, della scelta standard, mentre le eventuali altre proposte dovrebbero essere illustrate in termini di differenze rispetto alla scelta standard.  Prospettare all'investitore la scelta standard "spinge gentilmente" l'investitore inesperto verso un'opzione che difficilmente potrà recargli dei danni. Probabilmente non sarà l'opzione migliore in assoluto, ma dovrebbe essere -ragionevolmente- una scelta prudente ed esente da rischi facilmente eliminabili. Si tratta di un approccio attivo alla tutela degli investitori che rappresenterebbe un cambio epocale nella politica delle autorità di vigilanza. 
 
(2) Si potrebbe pensare anche ad un piccolo ventaglio di opzioni standard per ciascun obiettivo d'investimento. Uno o più opzioni è una questione secondaria. Personalmente sarei favorevole ad una sola opzione per ciascun obiettivo d'investimento. Questo – fra l'altro – avrebbe anche dei benefici effetti in termini macroeconomici qualora queste opzioni corrispondessero a degli strumenti specificatamente emessi dal Tesoro (magari attraverso la Cassa Depositi e Prestiti).   



Tratto dal sito ADUC a cura di Alessandro Pedone.

Chi segue questo sito da tempo sa perfettamente che la favola del bravo gestore il quale, grazie alle sue conoscenze, riesce a scegliere le migliori azioni per rendere di più della della media del mercato, è una storia ottima per vendere fondi comuni d'investimento, ma totalmente campata in aria. La media dei fondi comuni d'investimento, anno dopo anno, fa peggio dei mercati di riferimento.

Questo non perché i gestori siano tutti un branco di incapaci. Tutt'altro.

In realtà, in finanza, si concentrano i migliori cervelli (anche perché è il settore dove si guadagna di più). Il fatto è che non possono fare diversamente. E' una necessità matematica che la media di coloro che fa gestione attiva abbia rendimenti netti inferiori alla media del mercato.

Come abbiamo scritto altre volte il Premio Nobel W. Sharpe, scrisse un memorabile articolo nel quale avvalendosi delle quattro operazioni matematiche di base dimostrò che la media del mercato doveva per forza battere la media dei gestori attivi che investivano costantemente in quel mercato.
Per comprendere il punto ipotizziamo che il mercato sia composto da due categorie di investitori, quelli che fanno gestione passiva (acquistano una porzione dell'intero mercato senza mai cambiare) e quelli che fanno gestione attiva (quindi cambiano costantemente i titoli nei quali investire in base a presunte capacità di selezionare gli investimenti migliori).
Gli investitori che scelgono una politica di gestione passiva avranno un rendimento esattamente pari alla media del mercato. E' matematico.
Ma se questo è vero, come è vero, anche l'altra categoria di investitori, nella media, avrà il rendimento medio del mercato (1) con la differenza che mentre tutti gli investitori passivi avrà ottenuto lo stesso risultato, gli investitori attivi avranno ottenuto una grande varietà di risultati che mediamente sarà la stessa degli investitori passivi.
A ben guardare, però, c'è un'altra differenza fondamentale. Per vendere e comprare titoli, gli investitori attivi subiscono molti costi (costi informativi, costi di transazione, commissioni varie, ecc.). Questo significa che, mediamente, il rendimento netto degli investitori attivi sarà peggiore di quello degli investitori passivi.
Questo ragionamento vale per lo stock-picking (cioè la presunta capacità di selezionare i migliori titoli del mercato) mentre non vale per il così detto market timing, cioè la presunta capacità di entrare quando i prezzi sono bassi ed uscire quando i prezzi sono alti.
Purtroppo, se è vero che i fondi comuni d'investimento (quelli che non devono investire in un determinato mercato e quindi hanno un limitatissimo margine per fare “market-timing”) mediamente devono fare peggio dei loro mercati di riferimento è anche vero che, secondo tutte le analisi, questa non è la cosa peggiore. La cosa peggiore è che gli investitori entrano ed escono da questi fondi nel momento sbagliato ottenendo, mediamente, un rendimento ben peggiore rispetto a quello conseguito dal fondo (già inferiore a quello di un fondo a gestione passiva).

Secondo gli ultimi dati di Morningstar (2) negli ultimi dieci anni, la differenza fra il rendimento conseguito dai fondi e quello effettivamente conseguito dagli investitori è stata di circa il 2,5% medio annuo. Perdere il 2,5% medio annuo per dieci anni è una cifra spaventosa! Significa avere un capitale più basso di circa un quarto. Sicuramente un danno maggiore di quello che può fare, in media, la gestione attiva rispetto a quella passiva. I dati si riferiscono agli USA, ma sono consistenti con le ricerche fatte in altre nazioni.
Uno studio del 2010 della Cass Business School (3) ha mostrato che la differenza fra rendimenti percepiti dagli investitori e quelli del fondo è stata dell'1,2% per i nove anni terminati nel 2009. Altri studi (4) mostravano una differenza superiore al 2% sempre nel Regno Unito.
A cosa sono dovute queste grandi differenze di rendimento?
Semplice, al fatto che gli investitori scelgono costantemente i momenti peggiori per entrare e per uscire dai mercati. Quando le cose vanno male, si spaventano ed escono dagli investimenti più rischiosi per entrare in quelli meno rischiosi e viceversa.
Usare prodotti finanziari più efficienti è certamente una componente molto importante del processo d'investimento, ma purtroppo non è il più importante.
L'aspetto più importante è avere una buona pianificazione finanziaria, una buona strategia d'investimento e la disciplina per mantenerla nei momenti difficili.

Note:

(1) Ho notato che, stranamente, questa cosa non viene immediatamente percepita da tutti. Spesso le competenze matematiche, anche quelli abbastanza elementari come queste, non sono proprio spontanee. Allora proviamo a fare una semplificazione numerica. In questa semplificazione i titoli nel mercato sono sempre gli stessi, gli operatori sono sempre gli stessi e sono sempre costantemente investiti nel mercato (non fanno cioè quello che viene chiamato “market timing”). Immaginiamo che all'inizio dell'anno il totale del mercato abbia un valore di 100 miliardi e alla fine di 110 miliardi. Ciò significa che il mercato ha reso, nel suo complesso, il 10% ovvero 10 miliardi. Adesso il 50% del mercato aveva una politica di gestione passiva. Questa ha guadagnato come il mercato, cioè il 10%, ovvero 5 miliardi. L'altra metà del mercato che ha fatto gestione attiva, al lordo dei costi, deve obbligatoriamente aver guadagnato gli altri 5 miliardi, ovvero il 10%.

2) Morningstar è una società usa specializzata nell'analisi dei fondi comuni d'investimento. Negli USA pubblica uno studio denominato “Morningstar Investor Returns”. Una sintesi dello studio si può leggere qui: https://news.morningstar.com/articlenet/article.aspx?id=637022

(3) Clare & Motson (2010) Do UK retail investors buy at the top and sell at the bottom? (working paper) Centre for Asset Management Research, Cass Business School -

(4) Lukas Schneider (2007) “Are UK Fund Investors Achieving Fund Rates Of Return? An examination of the differences between UK fund returns and UK Investors’ returns.” PhD Thesis, July 2007.


STORICHE SENTENZE A FAVORE DEI RISPARMIATORI

  • In data 4 marzo 2013 la Corte di appello di Milano ha confermato una sentenza favorevole ottenuta da un risparmiatore contro la Deutsche Bank per bond Cirio, per la somma di oltre € 50.000, condannando anche alle spese legali relative anche all’appello. La Corte ha confermato che la banca ha violato l’articolo 28 del regolamento Consob in quanto non ha dato al risparmiatore notizie sufficienti sul titolo che si acquistava e sul rischio dell’operazione. L’operatore che ha venduto i titoli, inoltre, non era neppure lui a conoscenza dei rischi del titolo, con violazione, sempre da parte della banca, dell’articolo 26 del regolamento Consob.
  • In data 13 maggio 2013 il tribunale di Roma ha condannato la Banca Nazionale del Lavoro a risarcire un risparmiatore ii bond Cirio la somma di euro 20.518 oltre interessi e rivalutazione monetaria. Anche qui si è rilevata da parte del giudice un difetto di informazione da parte della banca in merito ai titoli e tale omissione è stata considerata grave anche se addirittura sino a un anno prima dell’investimento l’ investitore era stato un promotore finanziario. Ciò dimostra che le informazioni sui titoli vanno sempre date in quanto rendono consapevoli  i risparmiatori sull’investimento.
  • A giugno 2013 è stata ottenuta una storica prima sentenza contro la Cassa Rurale di Villa Bassa, sentenza emessa dal tribunale di Brunico. Il risparmiatore, iscritto al CTCU,  aveva investito oltre il 70% dei propri risparmi in un titolo Lehman e la banca non lo aveva avvertito dell’inadeguatezza per dimensione avendo concentrato in un solo titolo una parte troppo rilevante dei propri risparmi. La banca è stata condannata a restituire tutte le somme investite, oltre interessi, rivalutazione e spese legali. La banca entro 10 giorni ha pagato ma ha dichiarato che si trattava di una sentenza non definitiva, facendo intendere che avrebbe proposto appello. Il termine per l’appello è scaduto il 23 gennaio 2014 e la banca non ha impugnato la sentenza, con la conseguenza che il risparmiatore ha definitivamente acquisito le somme ottenute.
  • In data 21/12/2013 la Corte di appello di Palermo, ha riformato una sentenza negativa per il risparmiatore che aveva investito € 35.000 in titoli Cirio. Il risparmiatore in primo grado, come si è detto, aveva perso e la corte ha capovolto il giudizio e ha dichiarato, anche qui, che la Banca Nuova non aveva dato informazioni  specifiche e complete sul titolo. La banca è stata condannata a restituire la somma, oltre interessi e rivalutazione dall’ investimento (il credito così si è quasi raddoppiato) ed è stata condannata a quasi € 15.000 di spese legali, per il doppio grado del giudizio.
  • Con sentenza della Corte d’appello di Roma del 4 febbraio 2014 è stato ritenuto che laBanca Popolare di Sondrio non ha dato informazioni sufficienti su un titolo Cirioacquistato, essendo così responsabile per i danni.
  • Con sentenza del 16 gennaio 2014 del tribunale di Roma un grosso gruppo bancario è stato condannato a restituire a due investitori in titoli Lehman oltre € 50.000 oltre interessi e spese legali in quanto la banca in violazione dell’articolo otto del regolamento Consob non aveva ottenuto l’autorizzazione a operare fuori i mercati regolamentati. Ciò dimostra che anche violazioni della normativa che possono apparire meno importanti, sono invece considerate dei giudici di estrema rilevanza.
  •  Con sentenza del 17 dicembre 2013 il tribunale di Roma ha condannato il Credito Emiliano a restituire quasi € 250.000 che erano stati investiti in titoli Lehman, sempre per la violazione dell’articolo otto del regolamento Consob in quanto la banca non aveva ottenuto l’autorizzazione a operare fuori i mercati regolamentati.
  • Con sentenza del 19 settembre 2013 il tribunale di Ferrara ha condannato la Banca Popolare di Ravenna a corrispondere a un risparmiatore la somma di euro 12.614 oltre interessi e spese legali. Il risparmiatore aveva investito in bond Cirio e la banca non aveva fornito al risparmiatore informazioni adeguate sui titoli negoziati e sui rischi insiti nella negoziazione, il tutto con violazione dell’articolo 28 del regolamento Consob.
  • Con sentenza del 21 febbraio 2014 il tribunale di Ferrara ha condannato il Banco popolare a risarcire a risparmiatori in bond Argentina la somma di euro 157.445 oltre interessi e spese legali. Anche in questo caso il tribunale ha ritenuto la violazione dell’articolo 28 del regolamento Consob in quanto la banca non ha informato il risparmiatore sul rischio dei titoli e sulla difficile situazione dello Stato argentino, emittente i titoli stessi.
  •  Con sentenza del 6 febbraio 2014 la Corte d’appello di Bologna ha riformato una sentenza del tribunale di Modena negativa per tre risparmiatori. La Corte, infatti, ha ritenuto, diversamente dal tribunale di Modena, che la Cassa di Risparmio di Firenzeaveva violato, nella vendita di Bond Cirio, l’articolo 28 del regolamento Consob in quanto non aveva dato le necessarie informazioni sui titoli e sui rischi ai risparmiatori. La banca è stata condannata a pagare complessivamente € 100.000 oltre spese legali di ambedue i gradi del giudizio, somma questa che con interessi e  rivalutazione si è quasi raddoppiata.
  • Con sentenza del 9 settembre 2013 la Banca intesa è stata condannata a corrispondere a una famiglia di investitori in bond argentina la somma di oltre € 200.000 oltre spese e senza obbligo alla restituzione dei titoli e delle cedole percepite. Il Tribunale di Roma ha emesso la sentenza ritenendo che mancasse il contratto quadro in quanto lo stesso sebbene sottoscritto dai risparmiatori non era stato sottoscritto dalla banca. Si è concretata così una vera e propria nullità stabilita dall’articolo 23 del testo unico finanziario.
  • Con sentenza del 3 settembre 2013 il Tribunale di Roma ha condannato il Credito valtellinese a corrispondere a un investitore in bond Argentina la somma di euro 70.000 compresa rivalutazione interessi e spese legali. Anche qui vi è stata una violazione dell’articolo 28 del regolamento Consob per mancata informazione sui titoli.

DECALOGO PER L'INVESTITORE FINANZIARIO NON ESPERTO (tratto dal sito ADUC)
1) Chiarirsi le idee su cosa si vuole dai propri soldi:
- protezione dall'inflazione per il capitale che si prevede di utilizzare nei prossimi 3-5 anni;
- investimento solo per i soldi che sicuramente non servono nei prossimi 3-5 anni.
2) Dichiarare per iscritto all'intermediario finanziario la propria propensione al rischio, abitudini e obiettivi d'investimento. Non barrare mai la casella con la quale si dichiara di non voler fornire queste informazioni, anzi e' bene integrarle indicando espressamente le tipologie d'investimento che si desidera escludere.
3) Prendere sempre tempo. Non sottoscrivere mai investimenti subito dopo che il venditore (in banca o il promotore finanziario) ha terminato la descrizione. Diffidare sempre dagli investimenti che devono essere compiuti entro una certa data. Richiedere sempre copia di tutta la documentazione (prospetti informativi) e leggerla con calma da soli. Firmare solo dopo aver compreso ogni aspetto della documentazione letta. Se il venditore non vuole fornire questa documentazione escludere a prescindere l'investimento.
4) Investire solo in strumenti finanziari che si sono pienamente compresi leggendo la documentazione. Non fidarsi mai delle cose dette a voce dal venditore, se la documentazione fornita non aiuta a comprendere pienamente l'investimento e' meglio non investire. Se siamo abbastanza sicuri, ma si tratta di tipologie d'investimento nuove, investire solo piccole parti del proprio patrimonio finanziario (1 o 2% al massimo), si puo' sempre integrare successivamente.
5) Non investire in singoli titoli azionari, ne' in obbligazioni che non siano emesse da Governi affidabili. Si corrono solo dei rischi aggiuntivi che non sono ripagati da adeguati rendimenti medi attesi.
6) Non investire in strumenti non quotati. Questa semplice regola preserva da moltissimi problemi. La quotazione in un mercato finanziario regolamentato non solo offre la liquidabilita' dell'investimento, ma preserva anche da tanti strumenti finanziari inutilmente costosi e talvolta poco trasparenti (come i fondi comuni d'investimento non quotati, le gestioni patrimoniali in quote di fondi, le unit-linked, le varie obbligazioni strutturate e tutte le diavolerie dell'ingegneria finanziaria che gli intermediari inventano per far pagare commissioni ai propri clienti).
7) Per la protezione del capitale utilizzare: titoli di stato a breve termine o indicizzati, buoni postali fruttiferi, conti di deposito ad alta remunerazione (senza costi) e fondi monetari senza commissioni di gestione (o con commissioni di gestione inferiori allo 0,3%). Non utilizzare prodotti finanziari generalmente definiti "a capitale garantito".
8) Per gli investimenti utilizzare: titoli di stato per la parte obbligazionaria, fondi comuni indicizzati o (meglio) ETF per la componente azionaria. Le proporzioni dipendono dal proprio profilo d'investitore, meno esperienza si ha e meno componente azionaria si deve inserire in portafoglio.
9) Per accantonare risparmi. Non utilizzare polizze vita (sono inutilmente costose). I PAC sono una buona soluzione a patto che prevedano basse commissioni di ingresso (se non nulle) e di gestione, ma e' preferibile comunque diminuire la frequenza dell'investimento (trimestrale, invece che mensile) ed investire direttamente in titoli (obbligazioni o ETF). L'investimento rateizzato (specialmente per la componente azionaria) e' un'ottima forma di investimento.
10) Se si avverte la necessita' di una consulenza. Non pensare di ricevere consulenza dai funzionari bancari o dai promotori finanziari, la loro funzione principale e' quella di vendere prodotti finanziari. Sono in conflitto d'interesse e possono, al massimo, fornire consulenza strumentale alla vendita dei prodotti. Dal Novembre 2007 e' stata regolamentata la figura del consulente finanziario indipendente. Se si dispone di un capitale finanziario ingente e non si vuole fare da soli, meglio affidarsi ad un professionista pagato direttamente dall'investitore che a soggetti in palese conflitto d'interesse.





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QE - Quantitative easing

Con alleggerimento quantitativo o facilitazione quantitativa si designa una delle modalità con cui avviene la creazione di moneta da parte della banca centrale e la sua iniezione, con operazioni di mercato aperto, nel sistema finanziario ed economico. In caso di ricorso ad alleggerimento quantitativo, la banca centrale acquista, per una predeterminata e annunciata quantità di denaro, attività finanziarie dalle banche del sistema (azioni o titoli, anche tossici), con effetti positivi sulla struttura di bilancio di queste ultime. Convenzionalmente, invece, il controllo della base monetaria avviene con la vendita o acquisto di titoli governativi, in apposite aste.

Gli effetti del QE sui mercati: la “Teoria delle Stanze”

Posted By Francesco Caruso 

In questo post intendo affrontare ancora un tema più volte toccato negli ultimi mesi, e cioè gli effetti “collaterali” che il QE può avere sui mercati finanziari, indipendentemente dal fatto che questi effetti siano voluti o meno da governi e banche centrali. Cercherò di essere chiaro in proposito. Chiamerò l’azione stessa delle banche centrali sui tassi la DERIVATA PRIMA, le conseguenze del QE sui bonds la DERIVATA SECONDA e le conseguenze di tutto questo sulle borse la DERIVATA TERZA.

La derivata prima dell’azione delle banche centrali è stata il calo dei tassi e l’annullamento progressivo della redditività nominale e reale della liquidità (mercato monetario).
Motivi:
- tappare i buchi dell’eccesso di indebitamento
- ridurre nel tempo il costo del debito statale
- fornire denaro al sistema per far ripartire l’economia.
Effetti: gli investitori, progressivamente privati di redditività sugli investimenti in liquidità e a breve termine, alla disperata ricerca di rendimento, hanno rastrellato tutto ciò che aveva un prezzo.  Il rendimento di una obbligazione è determinato da due fattori:
- premio al rischio di tasso = più si allunga la duration, più si alza il rendimento
- premio al rischio di credito = più basso è il rating dell’emittente, più si alza il rendimento
La derivata seconda dell’azione delle banche centrali è risultata nel boom indiscriminato dei mercati obbligazionari, travolti da un’onda anomala di denaro alla ricerca di rendimento =
 crollo dei premi al rischio (tasso + credito). 
Va tenuto presente che questa è una “derivata seconda” in quanto è di fatto un effetto indotto dall’azione delle banche centrali, ma non “cercato” in alcun modo dalle stesse.
L’unico, vero obiettivo delle banche centrali è quello di evitare il fallimento del sistema e di ridurre il costo del servizio del debito per gli stati e – di conseguenza – riducendolo a livello sistemico, di ridurlo anche per i cittadini a livello privato e aziendale. Il motivo per cui questo volano non si è ancora messo in moto in alcuni paesi è che il buco del debito pregresso è enorme e va prima colmato, per poter poi far entrare in circolo la liquidità. Proviamo a capire meglio cosa sta succedendo. Si immagini quindi l’universo finanziario investibile come una casa con tre stanze:

-          la liquidità (la stanza piu’ grande)
-          i bonds
-          i mercati azionari (la stanza piu’ piccola)
Tra le varie stanze c’è transito libero.


E questi sono gli investitori, distribuiti nelle tre stanze.

A seconda della convenienza, in una situazione normale gli investitori passano da una stanza all’altra. In questa particolare e unica situazione, la derivata prima del QE ha avuto come effetto di annullare di fatto la redditività della liquidità, che si è quindi spostata per “convenienza forzosa” nella massima parte verso i bonds. La prima stanza (la LIQUIDITA’) è ormai vicina ad essere completamente inagibile (=infruttuosa) per gli abitanti della casa (gli investitori). Questa è la nuova situazione.

Di conseguenza, forzando gli investitori in liquidità fuori dalla loro stanza, le altre due stanze (BONDS e AZIONI) sono più affollate, senza particolari meriti.

La derivata seconda del QE è che si sta rapidamente annullando (anzi in certi casi si è già ampiamente annullata) la convenienza per la massima parte dei bonds, che già adesso hanno rendimenti reali negativi. La seconda stanza (i BONDS) è stata invasa ed è sovraffollata: anch’essa progressivamente sta diventando scomoda (= tassi reali negativi) al punto di essere inagibile agli abitanti della casa (gli investitori). Inoltre è pericolante (rischio di rialzo dei tassi).

La derivata terza del QE è che, man mano che prende corpo la percezione del calo della  convenienza della maggior parte dei bonds e quindi diventa progressivamente inagibile la stanza 2, non potendo tornare nella stanza 1 (che non rende nulla) gli investitori si riversano progressivamente nella 3, quella delle azioni.

Questo sta già succedendo da tempo dove è in atto con più forza il QE: USA e Giappone. Man mano che si contrarranno il premio di tasso e il premio di credito, la stanza 2 diventerà sempre più stretta e gli investitori si troveranno costretti a riversarsi nella 3, dalla quale non avranno più convenienza a uscire fino a che le stanze 1 e 2 non avranno ripreso ad essere agibili (= tassi più elevati).
Il risultato è un effetto a imbuto che non ha nulla a che vedere con la convenienza effettiva, ma semplicemente con la convenienza residua (scartato ciò che mi fa perdere in termini reali, vado su ciò che resta).

L’onda anomala di liquidità (stimata globalmente in circa 150 miliardi di USD al mese) – causata dalla necessità da parte delle banche centrali di tappare il buco dell’eccesso di debito – ha già investito gli Usa e il Giappone e molto probabilmente investirà a brevissimo Europa e BRIC, finora più legati a un ciclo economico asfittico e con grandi (seppur diversi) problemi.

Tanto più è stretto il suo legame con i mercati, quanto più l’investitore/operatore sta ormai adottando un riflesso condizionato pavloviano: a ogni correzione intervengono le banche centrali per “sostenere” i mercati, quindi a ogni correzione compro. La durata e l’ampiezza di questo Bull Market azionario sono quindi legati a doppio nodo, come ho avuto ampiamente modo di mostrare anche in post precedenti, non tanto con l’espansione degli utili quanto con l’espansione dei multipli (vedi P/E di Shiller a letture record) dovuti all’eccezionale sviluppo delle iniezioni di liquidità nel sistema e al contemporaneo e fisiologico espandersi dell’utilizzo della leva finanziaria. Il calo della volatilità, simile a quello del periodo 2005-2007, e il progressivo affermarsi nel pubblico dell’istinto selvaggio dei mercati (leggi: percorso emotivo da panico e capitolazione a euforia e compiacenza) sono ulteriori precisi sintomi.

Quanto detto non rappresenta ancora un warning (anche se in ultima analisi questa situazione arriverà, come sempre nella storia dei mercati, a un apice ciclico di non sostenibilità): semplicemente, è una chiave di lettura degli accadimenti attuali.

Per leggere alcune delle opinioni sui mercati pubblicate da Francesco Caruso dal 1995 ad oggi, leggi “Scripta Manent“.
Francesco Caruso svolge la sua attività di formazione e analisi su indici, titoli, ETF, reddito fisso, commodities e valute attraverso il sito, i portafogli modello e i report di www.cicliemercati.itVisita il sito.


Buy the dip

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Sul tema sempre attuale del “cosa bisogna fare sulle borse”, questo breve video di dialogo tra l’Uomo-Broccolo in Verde (che rappresenta lo Speculatore Privato Medio americano) e la Donna in Grigio (l’Investitore Razionale) rappresenta una piccola lectio magistralis di psicologia applicata all’operatività, un’ottima sintesi del sentiment dominante tra gli investitori in questa fine del 2013, iniziato all’ombra di tante crisi e destinato a concludersi su molte borse occidentali tra euforia e compiacenza, comunque con un saldo ampiamente positivo.
L’Uomo in Verde ama questo mercato e lo dichiara: fare soldi è la cosa più facile del mondo, in questo momento anzi è proprio ”free money”, denaro gratis. C’è il governo americano che ha promesso che comprerà qualunque cosa, da chiunque e per sempre: come può essere difficile fare soldi in questo contesto? Basta prendere in prestito a tasso zero e investire (?) in borsa.
La Donna in Grigio obietta che per lei non è stato affatto semplice, per diversi e importanti motivi. L’Uomo in Verde le dice allora la famosa Frase Chiave: “Devi solo comperare prima che lo faccia io. Devi comperare sulla correzione (“buy thedip“): se non lo fai - dice - sei una vera idiota”. (“Just buy the fucking dip. If you don’t, you’re a fucking idiot.”)
La Donna non è convinta: lei ha perso quasi tutto andando al ribasso, agendo sulla base razionale delle notizie negative, dell’eccesso di debito e dell’economia che non riparte. L’Uomo le dice: e che problema c’è? Se non hai più soldi, li prendi in prestito a un tasso ridicolo e acquisti.
La Donna resiste, dice che se fosse così facile, questo mercato alla fine sarebbe solo un gigantesco Schema Ponzi, dove a sorreggere il tutto è semplicemente la speranza che ci sia qualcun altro che entra dopo di te e a cui puoi vendere a prezzi più alti.
Nel finale la Donna (come succede a ogni Investitore Razionale alla fine di una bolla) capitola e si adegua, e allora l’Uomo in Verde le svela il Grande Segreto: questo non è uno Schema Ponzi, è uno Schema “Buy the Dip”. Tu semplicemente acquista ogni correzione, poi vai dai tuoi amici e parenti e dì loro di fare lo stesso. Se non acquisti la correzione, sei solo un’idiota.

Il video (3 minuti e mezzo) è raffinato e sarcastico al limite dell’acido, ha grafica e audio in puro stile primo Lara Croft (Tomb Raider) e il dialogo è in un inglese talmente chiaro e scolastico da renderlo facilmente accessibile anche ai non esperti. E alla fine, se non fosse chiaro, seguiamo tutti da bravi le istruzioni e comperiamo sulle correzioni: ammesso – a questo punto – che ce ne siano.

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Francesco Caruso svolge la sua attività di formazione e analisi su indici, titoli, ETF, reddito fisso, commodities e valute attraverso il sito, i portafogli modello e i report di www.cicliemercati.itVisita il sito.

 


Finalmente i nostri sforzi a livello europeo hanno ottenuto un altro risultato. Mercoledì 20 novembre 2013 il Parlamento Europeo ha votato una proposta di informazioni base (KID) volta ad affrontare una cronica mancanza di trasparenza in termini di costi, prestazioni e rischi per i clienti e gli utenti finali di prodotti finanziari. Grazie ai nostri sforzi congiunti, non sono state inclusi nella proposta finale gli emendamenti volti a escludere assicurazioni vita e pensioni dal campo di applicazione del regolamento. Così ulteriori ritardi alla procedura legislativa sono stati evitati e ora siamo più vicini all'adozione di una legislazione che armonizzi i requisiti di informativa base in tutti i prodotti venduti al dettaglio e di una migliore protezione dei singoli investitori e risparmiatori. La proposta sarà ora sottoposta a discussione e, con un po' di fortuna e soprattutto con la continua pressione da parte dei rappresentanti dei risprmiatori, questa nuova normativa sarà adottata entro la scadenza di questo Parlamento. Non dimentichiamo che il KID è l'unico progetto legislativo volto esclusivamente alla tutela degli investitori al dettaglio presentato durante il mandato dell'attuale Commissione e del Parlamento, e quindi si tratta di un evento della massima importanza per tutti i cittadini europei. Il vostro sostegno si rivelerà altrettanto prezioso nei prossimi mesi, nel corso dei negoziati con il Consiglio e la Commissione.


 

Editoriale di Alessandro Pedone
 

La normativa italiana sulla tutela del risparmio, in linea con quella europea, si spinge molto avanti nell'imporre agli intermediari finanziari comportamenti di protezione degli investitori.
Tra non molto saranno circa dieci anni che mi occupo di tutela del risparmio e posso affermare, con cognizione di causa, che questi meccanismi non funzionano.
Ricordo i primi tempi nei quali studiavo le leggi ed i regolamenti attuativi Consob. Ero piuttosto soddisfatto nel notare che il nostro Paese, già nel 1998, aveva una legislazione molto avanzata, a livello europeo, che poneva a carico degli intermediari l'obbligo -ad esempio- di verificare l'adeguatezza delle operazioni eseguite dai propri clienti rispetto agli obiettivi ed al profilo di rischio dichiarato. Poneva, addirittura, l'obbligo di verificare che il cliente avesse compreso quello che il promotore finanziario aveva illustrato circa le caratteristiche dell'investimento. Qualche eco di questo “entusiasmo giovanile” si può ritrovare probabilmente anche nei primi articoli che ho scritto in materia per questo sito.
A distanza di anni, devo osservare che queste tutele sono solo teoriche.
Restano sulla carta perché sono basate solamente “sulla carta”, ovvero sull'applicazione formale e non sostanziale. Se si desidera tutelare concretamente gli interessi dei risparmiatori è necessario cambiare approccio.
Il primo cardine del sistema attuale è basato sul concetto di “disclosure”, ovvero sul fornire agli investitori tutte le informazioni necessarie per fare scelte d'investimento consapevoli. Il presupposto teorico di questa normativa è che un soggetto informato è in grado di prendere scelte corrette e razionali. Purtroppo non è così. Avere, teoricamente, le informazioni non significa saperle utilizzare. Il problema di fondo è che la finanza è un settore complesso. Non solo non è semplice comprendere le informazioni rilevanti, ma le interpretazioni delle stesse non sono univoche. Anche ammettendo di aver compreso tutte le informazioni, l'uso delle stesse è qualcosa che richiede particolari abilità. Ovviamente questo è un concetto che si applica con diverse gradazioni. Sottoscrivere un BOT è qualcosa di relativamente semplice, valutare un prodotto di risparmio gestito è tutt'altra cosa.
Il secondo cardine del sistema attuale di tutela del risparmio si basa sull'imporre comportamenti agli intermediari che antepongano l'interesse del cliente al proprio. E' evidente che gli intermediari cercheranno sempre di applicare questi comportamenti “virtuosi” nella maniera meno “dispendiosa” (per loro) possibile, così come hanno sempre fatto e continueranno a fare.
Una normativa più efficace per tutelare il risparmio dovrebbe partire da presupposti diversi.
In primo luogo bisogna riconoscere che tutelare il cliente di un intermediario finanziario è un fatto che non riguarda semplicemente il singolo cliente. L'uso scorretto della finanza implica costi e potenziali rischi enormi per tutta la società.
La normativa, quindi, non dovrebbe porsi come obiettivo primario quello di evitare che il singolo cliente venga raggirato dall'intermediario finanziario, dovrebbe puntare ad un obiettivo più ambizioso, ovvero scoraggiare comportamenti che arrecano danni potenziali al singolo soggetto e a tutta la società.
Il settore della salute e quello dei trasporti ci offrono due utili metafore.
Ci sono alcuni farmaci che possono essere acquistati senza ricetta medica, altri che invece la richiedono. Perché? Evidentemente perché si ritiene che il cittadino, mediamente, non è preparato per comprendere se ha bisogno o meno di quel farmaco particolare che può implicare danni sia a lui che alla società, la quale dovrebbe farsi poi carico economicamente del danno che lui si è provocato.
Nel settore dei trasporti si applica un ragionamento simile. Tutti possono spostarsi a piedi, andare in bicicletta, prendere mezzi pubblici, ma non tutti possono guidare un'automobile senza avere la patente. Perché? Perché un cittadino che guida un'auto senza esserne capace, può far danno a se stesso e alla società.
In finanza dovrebbe passare un concetto simile. Ci sono alcune operazioni, semplici, che sono alla portata di tutti, ma altre non lo sono. Un uso scorretto della finanza, che significa anche la diffusione di strumenti che servono solo alle banche, arreca danni -e potenziali rischi- al singolo risparmiatore e all'intera società.
In sostanza, la normativa dovrebbe identificare un ristretto gruppo di strumenti/prodotti finanziari semplici che rispondano alla decina di esigenze finanziarie tipiche.
Questi strumenti potrebbero essere utilizzati da chiunque e tutti dovrebbero avere caratteristiche comparabili. Con un foglio informativo di una pagina al massimo, chiunque dovrebbe poter comprendere le caratteristiche dell'operazione finanziaria che va a compiere. Su questo ristretto gruppo di strumenti/prodotti vendibili a chiunque dovrebbe essere posta la massima attenzione delle autorità di garanzia, affinché non siano consentiti comportamenti anche solo potenzialmente dannosi ai clienti e/o alla stabilità del sistema economico-finanziario.
Gli intermediari, naturalmente, resterebbero liberi di progettare e distribuire le combinazioni di strumenti, prodotti e servizi finanziari che desiderano. A differenza di oggi, però, i clienti potrebbero sottoscrivere questi servizi finanziari non-standard dimostrando che sono stati analizzati con con reale competenza. Come potrebbero farlo?
Il primo modo sarebbe quello di superare degli esami, come nel caso della patente per guidare l'automobile. Il secondo modo potrebbe essere di rivolgersi ad un libero professionista esperto in materia ed appositamente abilitato, come nel caso della prescrizione medica per acquistare alcuni farmaci.
Quali sarebbero le controindicazioni di un sistema del genere? Solamente una: gli intermediari finanziari dovrebbero rivedere profondamente il loro modello di business e, nell'immediato, perderebbero una fetta rilevantissima dei loro profitti che oggi derivano, in larga parte, dall'ignoranza dei clienti.

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La globalizzazione dei mercati finanziari.

Il panorama delle Borse valori nazionali è cambiato notevolmente a partire dagli anni ‘80 del secolo scorso. La globalizzazione e la cartolarizzazione , soprattutto, hanno causato un enorme riassetto tecnico delle Borse, accompagnate da diverse fusioni internazionali di Borse in Europa e negli altri Paesi esteri.

Grandi e piccole borse di tutto il mondo hanno visto i loro sistemi di trading, un tempo basati sulla trattativa fatta di persona dagli operatori qualificati sul “parterre” delle Borse locali, essere sostituiti o integrati da sistemi computerizzati . Ovviamente il trading computerizzato ha rapidamente eliminato la necessità di operazioni “de visu” e praticamente tutte le transazioni di azioni avvengono oggi elettronicamente.
La globalizzazione dei computer permette di eseguire gli ordini sempre più velocemente e questo sta costituendo e continuerà a costituire in futuro la base dell’attività di trading .

Conseguentemente gli investitori istituzionali stanno spendendo centinaia di milioni di dollari per migliorare la propria tecnica computeristica e il loro software . Algoritmi e analisi sono i protagonisti: gli analisti e i matematici sono diventati i nuovi gruppi professionali che competono sui mercati borsistici con i gruppi tradizionali di intermediari e impiegati che agiscono a livello locale.

I costi di questi investimenti in tecnica e risorse sono stati enormi . Ad esempio la Borsa di Francoforte, che è conosciuta oggi come "Deutsche Börse", ha investito più di 1 miliardo di euro per ammodernare le proprie attrezzature tecniche e per allargare le proprie risorse umane da circa 30 soci a metà degli anni ‘80 a più di 3.000 soci nel giro di solo un paio di anni .

Vale la pena anche ricordare che non vi è più un solo modo per fare un investimento borsa . Oltre alle tradizionali operazioni di acquisto e vendita di azioni o titoli di società private o pubbliche, è anche possibile investire nella società che possiede il sistema di scambio stesso. Anche se sembra un gioco di parole o una scatola cinese, ci sono Borse in altre parti del mondo che sono quotate sulla stessa Borsa di cui sono proprietarie: questo sembra assurdo quanto un serpente che si morde la coda. Né l'alternativa di quotarsi su di una Borsa rivale sembra effettivamente più logica.

Tuttavia è diventato un grande business, o forse un grande gioco, per le aziende più aggressive mirare all’acquisto di altre borse in tutto il mondo, cercando espandere come a “Risiko” i propri imperi. Anche se questi acquisti in realtà creano poi parecchi problemi, le Borse non hanno smesso di acquistarsi grandi partecipazioni a vicenda, sia che si tratti di acquisizioni ostili, sia che si tratti di operazioni amichevoli. L’obiettivo resta sempre quello di impedire agli altri concorrenti la stessa strategia di espansione, nonostante gli enormi problemi economici e normativi nazionali in gioco. Ad esempio, la necessità di dover applicare le regole statunitensi anti-riciclaggio di denaro, le cosiddette normative Sarbanes-Oxley, sarebbe abbastanza poco attraente per molte aziende, nel caso in cui una Borsa statunitense dovesse acquistare altre realtà internazionali. E i costi di adeguamento alla normativa del Paese acquirente, cui si aggiungerebbe una seconda serie di norme della nazione della Borsa acquisita, sarebbero dannosi per molte società quotate di minori dimensioni .

Molti intermediari privati ​​sono diventati i più pericolosi concorrenti delle Borse nazionali. Negli USA società private come Bloomberg`s Tradebook e Reuters` Instinet hanno sistemi di negoziazione telematici elettronici di grande efficienza che stanno rapidamente guadagnando quote di mercato. Tutto ha avuto inizio negli anni ’90 del secolo scorso, quando la negoziazione è diventata elettronica . Ora, grazie a reti veloci ed efficienti alimentate da turbo CPU (Central Processing Unit) e server farm impensabili vent'anni fa, anche alcune imprese di investimento si comportano come i loro Stock Exchange . Però pochi fra di loro hanno chiesto alle agenzie di vigilanza nazionali di essere regolamentati come le Borse.

Nei prossimi anni, e soprattutto negli Stati dell’Est europeo e nei Paesi in via di sviluppo, sarà crescente la ricerca di adeguate fonti di finanziamento per migliorare il il proprio peso sui mercati finanziari internazionali . Una crescente emissione di azioni e obbligazioni ne sarà la logica conseguenza. Già oggi gli investitori possono guardare a investimenti favorevoli nei loro Paesi d'origine così come in Paesi stranieri senza vincoli nel trasferimento dei propri capitali. Tutto ciò continuerà ad apportare modifiche nella struttura dei mercati nazionali, sarà inevitabile.

Tuttavia, sappiamo tutti che la quota dei singoli investitori nei mercati di borsa è in declino, mentre la quota di investitori istituzionali è in crescita. Ci si rende conto sempre di più che il singolo investitore è in balia di strani poteri e software non trasparenti . Si aggiunga a ciò la "complessità" di molti prodotti finanziari negoziati in Borsa, che spesso non sono comprensibili neanche a esperti del settore: la conseguenza è che i rischi di un investimento in Borsa stanno diventando sproporzionati. Stravolte da nuovi operatori con obiettivi decisamente meno prudenti (si pensi ad esempio agli Hedge Funds) le Borse hanno cambiato il loro antico ruolo per diventare una macchina per fare soldi (o spesso per perderli).

E praticamente tutti i governi non hanno preso provvedimenti per stroncare le storture di questi anomali sviluppi del mercato dei capitali, che - in molti casi - non possono essere accettate da chi opera seriamente sul mercato. Si può fare qualsiasi ipotesi sulle ragioni per le quali questo sta accadendo, o per meglio dire, sul motivo per il quale non succede nulla a livello normativo in Italia, ma soprattutto sui mercati internazionali. I gruppi di lobbying delle banche e di altri operatori internazionali possono essere in grado di darvi una risposta, apparentemente credibile, ma mai del tutto soddisfacente .

Quindi, riassumendo , possiamo affermare che la globalizzazione e la cartolarizzazione hanno trasformato le Borse nazionali negli ultimi 25 anni in modo eccessivo e molto pericoloso, a causa della quasi totale assenza di normative valide a tutela di investitori, grandi o piccoli che siano. Le Borse stesse hanno subito un netto cambiamento. La tendenza a creare enormi mercati azionari globali e computerizzati è ininterrotta. Il ruolo futuro delle piccole Borse nazionali e la sopravvivenza del singolo piccolo investitore sul mercato sono piuttosto incerti. Al fine di regolamentare questo “casino" (scusate il termine, ma è l’unico che chiarisca bene il concetto) i governi e i legislatori sono chiamati ad attuare una cooperazione globale ottimale nei confronti dei mercati dei capitali, al fine di creare un sistema di regolamentazione internazionale prima che tutto il settore finanziario sia smantellato dall’incompetenza. Le linee guida dovrebbero essere molto semplici: le Borse hanno il solo ruolo di centri di servizio per permettere scambi trasparenti e non sono "casinò (questa volta con l’accento) per giocare d'azzardo".

Da ciò ne consegue che le richieste fatte dagli investitori individuali e istituzionali, dagli emittenti, e in generale da tutti gli operatori che credono in un mercato efficiente non possono più essere ignorate o rinviate dai governi locali e dalle istituzioni sovranazionali. Occorre introdurre riforme sia a livello locale (nazionale), sia a livello delle Borse internazionali. La qualità del "successo" nel business del mercato dei capitali deve essere ridefinita , certo tenendo sempre più in considerazione il concetto di "responsabilità".


 Il debito pubblico italiano: lo vogliamo finalmente ridurre?

 
L'Italia nel 2012 ha avuto entrate (cioè le tasse che ha riscosso dai cittadini) per circa 500 miliardi di euro (per la precisione 498.746 milioni di euro). Ha speso per investimenti o servizi alla collettività (sanità, difesa, servizi di polizia, giustizia, istruzione, pensioni, ecc.) e per l'amministrazione della macchina pubblica circa 420 miliardi. Ciò nonostante le spese complessive sono state di 510 miliardi di euro, 10 miliardi più di quello che ha incassato (aumentando quindi il debito pubblico) a causa dei circa 90 miliardi di interessi.
In queste settimane il dibattito pubblico si è arrovellato per trovare un miliardo per bloccare l'aumento dell'IVA o per i famosi 4 miliardi per l'IMU sulla prima casa quando spendiamo circa 90 miliardi in interessi sul debito. Soldi che non sono di nessuna utilità a nessuno, se non a chi li percepisce per una rendita finanziaria del tutto improduttiva. Quasi due euro ogni 10 euro di tasse che paghiamo se ne vanno in interessi! E' una cosa del tutto insostenibile sulla quale è possibile agire immediatamente semplicemente cambiando le regole del gioco. Perché non si fa?
Vediamo in primo luogo cosa si potrebbe fare e poi cerchiamo di capire perché non viene fatto.
Ciò che si dovrebbe fare è tornare ad utilizzare la Banca Centrale come agente per il collocamento del debito pubblico per influenzare i tassi d'interesse sia a breve termine che a lungo termine.
Dovremo smettere di fare decidere ai mercati finanziari i tassi d'interesse sul debito pubblico e regolarli in base alle necessità macroeconomiche. Contrariamente a quello che molti pensano questo non è solo giusto, ma è anche possibilissimo.
Si dovrebbe stabilire una regola, ovviamente modificando i trattati istitutivi della BCE, in base alla quale le singole banche centrali nazionali possano detenere fino ad un massimo del 60% del PIL di debito pubblico e che possono acquistarlo anche in emissione (nel così detto mercato primario) a condizione che gli ultimi tre bilanci, compreso il previsionale, presentino un avanzo primario (cioè minori uscite rispetto alle entrate ad eccezioni di quelle per interessi).
Si noti bene che questa regola non incentiverebbe il così detto “azzardo morale” molto temuto dai tedeschi. Lo Stato non potrebbe "spendere allegramente perché tanto c'è la banca centrale che compra il debito" poiché la banca centrale potrebbe farlo solo se le spese sono inferiori alle entrate, salvo per interessi.
Con questa semplice regola l'Italia potrebbe emettere una serie di obbligazioni a lungo termine con un tasso estremamente basso (ad esempio l'1%) e la Banca d'Italia potrebbe acquistarli (il sistema delle Banche Centrali non ha problemi di soldi perché li crea).
Con i soldi della Banca d'Italia lo Stato ricompra il debito pubblico e lo annulla (mediamente, attualmente il tasso sul debito pubblico oscilla tra il 4,5%-5%). Il debito complessivo, quindi, non cambia, ma il costo per interessi si riduce drasticamente.
La riduzione dei costi per interessi, per altro, rende ancora più sostenibile il debito pubblico e giustifica la riduzione del tasso d'interesse in un circolo virtuoso.
Ovviamente questo processo dovrebbe essere graduale, in più anni, non si può sostituire tutto il debito pubblico di colpo per molte ragioni che non è il caso in questa sede di illustrare. 
Nell'arco di 5 anni il costo per interessi può essere portato, in questo modo a circa 40 miliardi, se non meno. Ciò significa che l'Italia si troverebbe, a parità di tassazione, con un disavanzo di circa 30 miliardi metà del quale potrebbe essere utilizzato per abbattere il debito pubblico e metà per ridurre le tasse. Con 15 miliardi di riduzione strutturale delle tasse si potrebbe ridurre significativamente il cuneo fiscale (cioè la differenza fra il costo del lavoro ed i soldi che vanno in tasca ai lavoratori) aumentando significativamente la competitività. Il solo annuncio di un programma del genere ridurrebbe lo spread di almeno 100 punti e la sua realizzazione tenderebbe a riportarlo ai livelli precedenti allo scoppio della crisi del debito. La diminuzione dei rendimenti dei titoli di Stato porterebbe grandissimi vantaggi all'economia. In primo luogo genererebbe enormi plusvalenze dei bilanci delle banche italiane piene di titoli di Stato. Renderebbe molto meno costoso per le banche finanziarsi e quindi renderebbe l'accesso al credito più facile ed economico.
Perché non si applica una modifica del trattato istitutivo della BCE di questo genere? La causa principale va ricercata in un dogma. Si ritiene che l'unico obiettivo della Banca Centrale debba essere quello di combattere l'inflazione e che l'immissione di denaro debba sempre implicare inflazione. Entrambi gli assunti sono sbagliati. Le banche centrale più importanti del mondo hanno sia l'obiettivo di tenere l'inflazione sotto controllo, sia quello di stimolare l'economia verso la piena occupazione. Gli enormi programmi di immissione di denaro pubblico fatti recentemente dalla riserva federale USA (ma anche in Giappone e nel Regno Unito), hanno dimostrato che immettendo anche enormi quantità di liquidità nel sistema finanziario si genera certamente inflazione degli asseti finanziari (cioè aumentano i prezzi di azioni e obbligazioni), ma non necessariamente si crea inflazione sui prezzi dei beni fisici.
Allo stesso modo, se la Banca d'Italia acquistasse dei BTP all'1% e lo Stato, con questi soldi, acquistasse BTP sul mercato, i soldi immessi sul mercato finirebbero per acquistare altri titoli finanziari aumentando i prezzi delle azioni e delle obbligazioni, ma difficilmente genererebbero inflazione in senso tradizionale.
Bisogna considerare, poi, che un po' d'inflazione, fra il 2% ed il 4% è più che auspicabile nella situazione di pesante debito nella quale si trova tutto il sistema europeo (l'Italia è in una situazione drammatica per il debito pubblico, ma un po' tutte le nazioni europee sono con debiti pubblici eccessivi e debiti privati ancora più eccessivi). Se la zona euro si trovasse in una situazione di tassi reali negativi per qualche anno (cioè un'inflazione sul 3/4% e tassi sul debito pubblico inferiori) questo farebbe diminuire significativamente i debiti. Purtroppo in Germania quando si parla di inflazione, le argomentazioni razionali smettono di essere valide perché entrano in campo gli aspetti psicologici ed emotivi. Parlare di inflazione in Germania è come parlare di licenziare gli statali in Italia. E' un tabù. Non se ne può neppure parlare.
Eppure la soluzione al debito pubblico italiano sarebbe alla nostra portata. L'unica “obiezione” potrebbe essere: non si farà mai perché la Germania non permetterà mai che le singole banche centrali nazionali acquistino in emissione il debito pubblico.
Non sarebbe, allora, il caso di farne una questione politica centrale a livello europeo?
Non sarebbe il caso che le forze politiche in Italia parlassero di questo invece di rincorrere un miliardo per evitare l'aumento dell'Iva?
(tratto da un articolo a firma Alessandro Pedone di ADUC)


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